La discesa negli abissi. Senza ossigeno

L’immersione in apena è pericolosa. Scordiamoci che diventi a stretto giro uno sport agonistico.
0-10 metri: Nei primi dieci metri sott’acqua i polmoni pieni d’aria, fanno forza contraria e trattengono il corpo in superficie. Per andare giù negli abissi servono spinte energetiche – che consumano ossigeno, quel poco che abbiamo immagazzinato prima nei bronchi – e compensazioni costanti dell’orecchio.
10-20 metri. Superati i 10 metri la pressione sul corpo raddoppia,  i polmoni si comprimono e diventano la metà: all’improvviso ti senti leggerissimo, come se il corpo fosse sospeso in uno stato privo di gravità chiamato equilibrio idrostatico.
20-30 metri. Poi succede una cosa sorprendente: continuando a scendere, il corpo non è più spinto verso l’alto, ma attirato inesorabilmente verso il fondo del mare. Non c’è più bisogno di contrastare alcuna forza per andare giù, basta allungare le braccia lungo i fianchi e il corpo morbidamente scende verso il basso.
30-180 metri. A 3o metri la pressione quadruplica, la superficie del mare diventa invisibile, comincia il buio. Ancora più giù, a 45 metri, si entra in uno stato onirico indotto dagli alti livelli di anidrite carbonica e di azoto nel sangue. A 90 metri la pressione è così forte che i polmoni diventano piccoli come arance e il cuore batte a meno della metà del suo ritmo normale per conservare ossigeno. Perdi parte del controllo motorio. Quasi tutto il sangue delle braccia e delle gambe affluisce al centro del corpo, mentre i vasi sanguigni delle zone periferiche si ristringono a un nulla. Quelli polmonare si dilatano. per reggere l’eccesso di pressione.

La risalita. Poi arriva la parte più difficile. La risalita. La mano è semiparalizzata. devi muoverla per staccare il cartellino che a -180 segna il traguardo. Il peso dell’acqua oppone resistenza e bisogna attingere a poche energie rimaste per fare tutti quei metri in su. Risalendo a 60, 45, 30 metri di profondità i polmoni avvertono un bisogno quasi insostenibile di respirare. Ma non puoi: non sei mica un pesce. Ti serve l’aria non l’acqua, per non morire. La vista si appanna e il torace è in preda a contrazioni per via dell’accumulo di anidride carbonica nel sangue. E bisogna fare in fretta per non svenire.
solo quando, in stato si semi incoscienza la massa di acqua azzurra si trasforma in un bagliore di luce, puoi dire di avercela fatta. Appena riemergi vedi tutto girare e senti urlare “devi respirare” “devi respirare”. Già, perché in quelle condizioni potresti non avere neanche le energie per riprendere a respirare. . Te ne stai fermo stremato, cercando di riprendere i sensi abbastanza in fretta per superare il protocollo del gioco. Togli gli occhialetti, fai un segno al giudice, dici “sto bene” e cedi il posto al prossimo.
L’importante è non perdersi negli abissi. Perché giù nella massa blu, non c’è nessuno che ti viene a riprenderti. Ma il viaggio in quella dimensione vale i prezzo del rischio.

Dall’articolo “Con il fiato sospeso”, di James Nestor, Outside magazine.

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