Zubin Zainal è un altro di quei ragazzi (quarantenni) con il quale ti va di sorseggiare un te lento e parlare per delle ore. Vive a Berlino da quasi 20 anni, è nato a Kula Lampour, in Malesia, avrebbe fatto l’ingegnere di-non-so-di-preciso-cosa, se dieci anni fa non avesse rischiato la vita in un incidente di cui non mi ha voluto raccontare i dettagli. E dopo l’incidente non ha avuto più alcun dubbio: se morte deve essere, che morte sia di una vita vera. Appesa la laurea la chiodo, ha preso carboncini, acquarelli e carta ruvida e si è messo a fare chiaroscuri. “Ritratti agli amici, copertine di dischi, illustrazioni di libri, decorazioni d’interni”, attingendo a un po’ di simbologia occidentale (le trabant, gli gnomi, un bacio) e a un po’ di simbologia orientale (i fiori di ciliegio, i templi, le tigri, la natura)”. FInché un giorno di qualche anno fa ha avuto un’intuizione.
“Sono sempre stato affascinato dalla carta. Spesso dimentichiamo il valore della materia. La materia che è la tela, la carta, il legno, la pietra il metallo, come i colori, sono tutti importanti in egual misura”. Così Zainal al quale la carta ruvida piace a tal punto dal prodursela in casa, ha cominciato un po’ per scherzo ad accartocciarla ora concava ora convessa creando forme di volumi su cui dopo immafinare figure e dipingerle. Una volta era una tigre, una volta un gufo, una volta uno spirito delle foreste malesiane. E poi anche la Berlin Liste, la créme della créme della scena visual berlinese, si è accorta di lui.
