Volevo dire la mia sulle Pussy Riot. Poi su The Nation, ho trovato le parole di Vadim Nikitin. E direi che bastano quelle.
Nikitin non si fida della solidarietà ipocrita dell’Occidente nei confronti delle tre punk, che con ogni probabilità ha solo una funzione antiputiniana. E forse, in generale, al di là della funzione sociale del collettivo, questa preghiera Punk (eccola), neanche gli piace. Artisticamente parlando.
“Alla base di gran parte dell’interesse internazionale per le Pussy Riot c’è un equivoco su quello che in realtà vogliono queste dissidenti. Qualcuno ha parlato di lotta per la libertà di espressione. Ma la libertà di espressione è estranea al pensiero radicale russo. E le Pussy non sono delle liberali che provano a esprimere il loro punto di vista. Sono discendenti dichiarate dei surrealisti dei futuristi russi, determinate a cambiare radicalmente la società, se necessario con la violenza”.
Le nostre ragazzotte messe ai campi forzati il 17 agosto scorso, non prendono di mira solo l’autoritarismo russo ma tutto il sistema capitalistico. E l’occidente, compresi di giornali di Rupert Murdoch fanno finta di non sapere. E diventano loro fan. Per ora va bene colpire Putin, che, si sapeva, di democratico ha proprio poco. Ma lo zar amico di Berlusca, è espressione della società russa. Tanto è vero che il 44% dei russi è d’accordo con la condanna alle tre Pussy responsabili di vilipendio all’altare ortodosso della cattedrale di Cristo Salvatore.
Le Pussy non rivendicano nessun valore estetico. Siamo a uno stadio più embrionale: la rivendicazione dei diritti fondamentali. Con un stile che sembra un miscuglio tra i nostri anni di piombo, e la Londra punk, in chiave femminile e colorata.
La Nadezhda Tolokonnikova (La Pussy carina di 22 anni coi capelli a caschetto e le labbra carnose) nel 2008 partecipò, era all’ottavo mese di gravidanza, a un’orgia in un museo organizzata dal collettivo Voina. Voina vuol dire guerra.
Quelli di Voina in altre occasioni hanno incendiato auto della polizia e imbrattato monumenti con cazzi giganti (è accaduto a un ponte mobile di San Pietroburgo). Poi una delle sue adepte – non la Tolokonnikova – in un’altra azione di protesta rubò un pollo al bancone del supermercato e se lo infilò nella vagina.
Aiutatemi a capire se possiamo effettivamente parlare di arte contemporanea. Se diamo retta ad Ai Weiwei, il cinese che pure ci ha problemi col governo centrale, sì.