Ha ragione M.S. quando afferma che i tedeschi se decidono di fare una cosa, la fanno in grande. Così 24 anni fa per celebrare la caduta del muro di Berlino hanno deciso di regalarsi un concerto di Natale. Hanno chiamato Leonard Bernstein a dirigere un’orchestra composta dalle filarmoniche dei quattro Paesi vincitori della guerra – New York, Parigi, Leningrado (San Pietroburgo) e Londra, e dal coro di Dresda, capitale morale della DDR. Hanno scelto di autodedicarsi la nona di Beethoven è hanno deciso per l’occasione di apportare una piccola variazione stilistica al testo originale dell’opera, sostituendo la parola Freude, gioia, con la parola Freiheit, libertà.
Il volto rugoso, poliespressivo e sudato di Bernstein, che sarebbe morto di lì a 10 mesi, vale più di mille parole. Certi violini valgono più di tante frontiere, certi tamburi più di mille muri abbattuti. Ieri alla Konzerthause in Gendarmemarkt, dove è stato ritrasmetto per intero il concerto per la libertà c’ero anch’io a piangere per Berlino.