(da Lettera43.it) Sei anni fa il pittore iraniano Pooya Razi rischiò il carcere per aver deciso di aprire le porte della sua casa, nel centro di Teheran, a ragazze non sposate in cerca di un posto dove dormire. Oggi lavora con un gruppo di registi e animatori per realizzare un cortometraggio ispirato ai protagonisti dei suoi disegni.
Razi, classe 1984, è uno dei pochi indipendenti che resiste alla durezza del regime iraniano. E resiste in una città che, pur contando 12 milioni di abitanti, si trova con una scena artistica sempre più in ombra, pressata dall’incubo delle ritorsioni del presidente Mahmoud Ahmadinejad, sempre più intollerante a oppositori, dissidenti o a semplici voci fuori dal coro.
E mentre molti registi, pittori e scultori fuggono da Teheran, chi a Vancouver, chi a Roma, chi ancora a Madrid o a Parigi, Razi ha scelto di rimanere. Non ha una missione da compiere, non si sente addosso alcun spirito rivoluzionario di cui farsi porta bandiera, vuole solo tenere viva la sua ispirazione che nasce e si alimenta nella società civile iraniana.
«Non so cosa fosse l’Iran prima della rivoluzione», ha detto Pooya, «conosco la società di oggi di oggi e tutte le mie opere ne parlano. La mia vita è a Teheran ed è parte integrante del mio manifesto artistico. Essere cresciuti in questa città ha plasmato la mia espressività. Le sfide e le difficoltà di vivere in un regime mi hanno spinto a esplorare in profondità le aspettative sensoriali e percettive del mondo a cui appartengo. E oggi non ne potrei più fare a meno».
IL VENTO DI DEMOCRAZIA. Per Razi, come per altri artisti che resistono, con le onde rivoluzionarie che da Tunisia ed Egitto sono straripate in tutto il mondo arabo, questo è l’inizio di una nuova era. Anche l’Iran ha la sua Onda, è verde ed è composta da giovani che scendono in strada e chiedono al regime, di cui non contestano i fondamenti religiosi ma piuttosto la devianza personalistica che presidente e leader religioso hanno imposto, un futuro, più democrazia e libertà di espressione.
Razi non lo ha detto apertamente, certe cose non le si possono ancora raccontare neanche ai media occidentali, ma il vento di democrazia che arriva dal Maghreb, per lui profuma di buono.
DOMANDA. Chi è Pooya Razi?
RISPOSTA. Appartengo ai fortunati: nel 2000 ho studiato con Ahmad Vakili, uno dei più noti pittori iraniani dell’età contemporanea, è stato lui a spalancarmi le porte della sensibilità pittorica, e dopo aver studiato con Amir Rad per sette anni, sono stato ammesso al corso di laurea in Arte dell’Università di Teheran.
D. Che rapporti intrattiene l’università con il governo di Ahmadinejad?
R. L’ateneo è la principale istituzione laica del Paese. Non è un caso che proprio tramite essa sono entrato in contatto con i principali galleristi del Paese. È’ in questa vetrina, molto di nicchia, che le sensibilità artistiche si mettono in mostra e dialogano con il Paese e con il resto del mondo.
D. Le sue opere sono permeate di volti, scene di vita, e sono state definite realiste dalla critica internazionale. A cosa si ispirano?
R. Il mio primo obiettivo è cercare un sistema di codici comuni con il mio pubblico non un universo parallelo, o un non luogo dove farlo sognare. Lo voglio mettere di fronte alla realtà e ai problemi sociali in cui vivono.
D. Di cosa parlano i suoi quadri?
R. Nei miei lavori c’è un elemento di decostruzione, un segno che stona, che serve a farsi delle domande sulla realtà. I frame di vita, con tutti gli oggetti che esso contiene, sono semplici e come in una macchina da presa, molto zoommati sull’essere umano. Ma poi improvvisamente compare un dettaglio, una ruga in un volto, un lenzuolo stropicciato, che portano lo spettatore a porsi della domande.
D. Quali?
R. I miei soggetti sono testimoni del loro tempo, raccontano le limitazioni di libertà e di azione. E di un potere di cui noi, come cittadini, fatichiamo addirittura a lamentarci. Nel dipinto dal titolo Wall covering, per esempio, parlo della fuga di massa dei miei coetanei dall’Iran, e sulle conseguenze che questa emigrazione ha avuto su chi, come me, ha deciso di rimanere.
D. Come si fa a essere un artista indipendente?
R. Come in ogni parte del mondo occorre poter vivere senza farsi condizionare dai meccanismi del mercato. Se un lavoro piace, ci sarà sempre qualcuno disposto a comprarlo, se non piace, te lo metti in tasca e te ne fai una ragione.
D. Ed esserlo a Teheran?
R. Il valore di essere indipendenti in Iran è un altro. Ci sono gallerie, e quelle con cui lavoro lo sono, che dribblano la censura del governo. Fermo restando che alcune cose vanno dette dietro un velo e certe accuse non possono essere dirette.
D. Il vento di libertà e democrazia che soffia nel mondo arabo quali conseguenze ha sull’arte e sui giovani iraniani?
R. Mi commuove l’energia di chi sta sacrificando la propria vita in nome della libertà. E sono convinto che da queste rivolte nascerà un nuovo mondo arabo. Anche se le sovversioni dei regimi, per alcuni Paesi, sono state così veloci da farmi temere che non c’è stato il tempo democratico perché si formasse un’alternativa di governo.