Qualcuno, mi pare Francesco Clemente o Nicola de Maria, disse che un quadro bello da uno no, si distingue dal fatto che il primo sembra emanare un odore buono. Un profumo. Ma la più potente delle sinestesie non è olfattiva. E’ uditiva. Tu guardi un quadro e senti salire dal profondo delle viscere, le tue, un urlo di quelli che le tue orecchie non hanno mai udito.
E’ un frastuono onirico, di quelli che certe volte vorresti gridare negli incubi più terrificanti. Uno dei quattro Urli di Edvard Munch ieri sera a New York è stato venduto per 120 milioni di dollari, diventando all’istante l’opera d’arte più cara mai battuta da una casa d’asta (Sotheby’s). Tenete presente che la base era di 40 milioni e che i rilanci sono durati appena 10 minuti.
Ora parliamo un attimo di questo urlo. E di questo alieno vittima di una spirale che per centro ha il buco nero della sua bocca.
Edvard in quell’urlo ha ritratto se stesso. Raccontò di seguito: «Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad un recinto. Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura… e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura».
Un giorno passeggiando con degli amici su un ponte della città di Nordstrand (oggi quartiere di Oslo) il nostro pittore, anima super-sensibile, è stato colto da un attacco di panico. Sentiva che un grande urlo pervadeva la natura. E se ne è lasciato travolgere. Provocandogli uno stato di angoscia che lo ha portato a portarsi le mani al viso.
Il mondo circostante (fiume, ponte, vegetazione) ha cominciato a girare in tondo, fino a formare un vortice, che per centro ha scelto un buco preciso. La sua bocca.
Origine dell’urlo dipinto più fragoroso di tutti.