Puntata n.8 Crisalide on Air, su I need Radio, martedì 8 aprile 2014 ore 19. In replica venerdì 11 aprile 2014 ore 11. Ve l’ho già detto che vi amo, sì?
Episode 8 on Air Chrysalis, I need on Radio, Tuesday, April 8th, 2014 7pm. In reply Friday, April 11th, 2014 at 11 am. I love you all!
Episode 8 on Air Chrysalis, IneedRadio, am Dienstag 8. April 2014 um 19 Uhr. Wiederholung am Freitag 11. April 2014 11 Uhr. Ich liebe euch!
http://ineedradio.funkhaus-gruenau.de/
Vi parlo spesso di Berlino e di cose che succedono a Berlino. Perché ci vivo, perché la vivo, perché I need radio abita qui e pur parlando italiano, spagnolo, francese, inglese, e un pochino di tedesco, pur essendo con la sua energia a Buenos Aires, a Miami, a Pechino a Tokyo, a Joannesbourgh, a Perth, Jakarta, è qui che vede sorgere il sole, sbocciare i mandorli, è lungo i canali della Sprea che aspetta i tramonti, cercando di non bere birre e di non fumare. Mentre si liscia i capelli, raccoglie i fiori, e va anche a museo.
Io già vi ho detto che Crisalide d’aria non sta per caso a Berlino. Quando la crisalidina diciamo nel 2011 ha cominciato a spruzzare questi super dosaggi di arte contemporanea nella rete, era a New York. Convinta, la crisalidina, che tutto dovesse passare per New York. E’ vero le cose che contano devono approdare presto o tardi a New York, nei grandi musei e nelle grandi gallerie. Ma lì mi sono accorta che è a Berlino che gli artisti vogliono vivere vogliono produrre cose, farsi ispirare. Da qualsiasi parte provengano. Perché dopo il Die Wende, dopo la svolta, dopo la caduta del muro, Berlino offriva non solo lo spazio, offriva il tempo. Le case, gli atelier costavano poco, i tedeschi sono più simpatici di molti newyorkesi, e un artista, per così dire, ha bisogno, per lavorare intendo, del sorriso del panettiere sottocasa, di osservare i tulipani che sbocciano, di innaffiare il rosmarino al balcone, farsi una passeggiata a Tempelhof, chiacchierare al Biergarten. Berlino era perfetta. Gli artisti sono arrivati prima a Prenzlauer Berg, poi a Kreuzberg, poi più a sud a Neukoelln, e ora stanno tipo migrando a nord overst, Moabit Wedding.
Per queste ragioni che la crisalide è a Berlino. Tanti artisti, tanti musei, anche certi che sembrano altre cose, son qui. Oggi vi porto in uno degli scrigni segreti di questa città. Il Bunker Boros. Orianenburger Tor U6, di fianco alla sede di tutte le televisioni di Germania, di mamma Rai, di fianco la sede del WWF, a due passi dal Friedrich Palace, sulla Friedrichstraße. Se non lo avete visto mai, ne rimmarrete sorpresi. E’ un bunker. Privo di finestre – ci sono solo piccoli pertugi – con mura spesse 2 metri, è un cubotto di cemento armato con base di mille metriquadri alto 20, cinque piani per un totale di 80 stanze, con due ingressi per lato, e doppie trombe di scale per lato. Vi assicuro che anche per trovare la porta di ingresso dovete girarci un paio di volte attorno e troverete un loculino piccolo piccolo dove non c’è manco scritto ingresso.
Qui dentro ho trovato una della più straordinarie collezioni – private – di arte contemporanea che io abbia mai visto.
Ve ne parlo dopo questa canzone dolcissima. Il mio singolo della settimana. La versione da studio è più ritmata e l’album è uscito ieri. Lui E’ Sohn, ragazzo austriaco di base a Londra, questa è Tempest, che dà il titolo anche all’album (no sbagliato era Tremors il titolo!) sarà a Berlino domenica prossima all’Heimathafen. Presidentessa, ci andiamo a vedere il suo concerto? Io stasera vi farò ascoltare un po’ di roba di questo suo primo nuovo album perché mi sono letteralmente innamorata.
Oggi dicevo la crisalidina vi porta in un bunker a vedere cose di arte contemporanea.Prima però di parlare di arte volevo parlarvi brevemente della storia del Bunker. Trattasi di un bunker antiaereo, quindi vuol dire che si erge in superficie e non sta sotto terra come tipo quelli anti atomici. E’ apparentemente il meglio conservato di Germania. Si trova in pieno centro, a Mitte, fu costruito dai nazisti nel 1942, durante la Seconda Guerra Mondiale, al servizio delle ferrovie tedesche: veniva utilizzato per proteggere i viaggiatori in arrivo alla stazione di Friedrichstraße – che allora si chiamava Reichsbahn – dagli attacchi aerei. Nel ’45 l’armata rossa trasformò il bunker in una prigione per rinchiudere i nazisti, nel 1949 provarono a insediarci un’industria tessile, durò poco; nel 1956 – questa fa ridere – si insedia una ditta di import-export di frutta cubana. Usano il bunker come magazzino. Siamo nella Berlino est. Da allora del bunker non se ne sente più parlare finché non cade il muro. E allora cosa diventa? Dicono i nostalgici che tra il 1992 e il 1996 il bunker era il locale di tecno più bello del pianeta, altro che Berghain. Purtroppo essendo un bunker, aveva veri problemi di areazione ragion per cui dovettero chiuderlo. La cosa bella è che hanno rispettato nelle ristrutturazioni successive l’anima del club illegale degli anni ’90.
Per esempio, c’è la dark room, l’hanno lasciata così come è e non si sono azzardati a cancellare la varie tag per le scale. L’edificio viene acquistato prima da un fondo giapponese e poi da un tipo Christian Boros, una specie di magnate nella comunicazione mondiale che sta a Berlino. E’ uno che gestisce l’immagine di enti tipo la Biennale di Venezia, la Porsche, la Berlinale, alcuni Ministeri, la General Electric, Coca cola, società così per capirci. Christian forse doveva far lavorare la moglie Karen. Comunque Karen che aveva sempre come dire speso i soldi del ricco marito per fare di lavoro la collezionista (voglio fare anche io da grande la collezionista) nel 2008 inaugura la prima collezione Boros. E’ disponibile fino al 2012, richiama 120mila visitatori, per 7mila visite guidate. Una cosa che devo dirvi subito, e poi entriamo nel vivo della collezione Boros. Che arriviate da Buenos Aires, Parigi, Milano, Napoli, Valencia, Porto, Mosca, Kiev, ricordatevi che per visitare il bunker bisogna prenotare online al sito http://www.sammlung-boros.de/. La visita si può fare solo a microgruppi di 12 persone con guida. Il giro per 5 piani dura un’ora e mezza, il biglietto costa 12 euro. Li vale tutti. E’ un bunker ragazzi, i soffitti sono alti 2 metri non più, i piani sono cinque, ci sono 8 rampe di scale che si incrociano, è un labirinto. Di cemento. Siamo in Germania, ci credo che questi fanno entrare a dieci per volta. Però ripeto su internet la prenotazione è uno scherzo. E poi è anche divertente entrare in un museo che non ha nessun indizio, non se la tira, è tutto cunicoli soffitti bassi, cemento dentro e fuori. Pure la porta di ingresso è difficile da scovare, tanto è piccola. A proposito, prima di mandare il prossimo brano: ma voi lo sapete come è fatto un Bunker, dico l’intelaiatura del cemento? Cemento, due metri di spessore per parete, che se sezionato, cosa che gli architetti che ha risistemato il Boros hanno fatto, è riempito da numerosissimi fili di ferro, in tutte le direzioni. Sembra indossare una maglia di assi di ferro, disordinati, di vario diametro, più spessi più sottili, buttati così nel cemento liquido.
Ora sentiamoci questo altra novità discografica. Nome d’arte Lorde, è una ragazzina dell’Auckland, è nata nel 1993 stava girando il mondo, poi ha incontrato un ragazzo con la chitarra e gli ha rubato il lavoro. Tempo. Questa è Team. Posizione numero 20 in Italia e Germania. Numero uno in Oceania e in qualche stato dell’America.
Oggi si va gita. Nel Bunker Boros, Orianenburger Tor, Berlino, Bunker antiaereo meglio conservato di Germania, costruito dai nazisti, riconvertito a magazzino di frutta tropicale, a club di musica tecno, ora a museo che ospita la collezione privata del signor Boros, uomo degli uomini più ricchi e potenti non solo di Germania ma del mondo. La differenza più evidente tra la seconda e la prima mostra Boros è lo stato d’animo introverso delle opere esposte (introverso?!?). Hanno scritto i giornalisti esperti. In parole povere ci sono sempre istallazioni grandi dimensionate, ma risulterebbero meno dirette, meno accessibili. Io qui vi farò proprio fare una visita a museo, stanza per stanza partendo dal piano terra fino al quinto livello.
Opera numero uno. “Teenage Room” di Klara Liden , artista svedese che con questa istallazione aveva rappresentato la Svezia alla Biennale di Venezia. Di fatto la Klara ha arredato la cameretta di un adolescente, dove al posto della struttura del letto a castello ci ha messo delle impalcature di metallo e di legno, al piano di sopra sopra sta appesa un’amaca di plasticaccia brutta quella nera dei secchi dell’immondizia, di lato accatastati stereo, dvd, cassette, tutto tinteggiato drammaticamente di nero. Al posto dell’armadio ci sono cassettini di plastica, e dentro accartocciati in malo modo dei jeans. C’è solo un lampadario di carta quelli dell’Ikea che ne sono stati venduti a centinaia di milioni, che non è nero. E su una parete si apre una minuscola porticina, da dove scappare da questa terrificante adolescenza. La Klara, che è nata nel 1979, è un po’ fissata con l’arredo. Ha studiato architettura mi pare, è figlia di un super dottore e un super biologo di Stoccolma, da giovane raccoglieva i materiali di scarto dalle rive dei fiumi – frighi, brandine di letti, armadi, e costruiva nuovi oggetti urbani. Indovinate dove vive la nostra Liden? Bravi a Berlino!
Ora però ci sentiamo il prossimo brano che ho già chiacchierato troppo. Rispolveriamo un capolavoro dei Rolling Stones. Questa è She’s a Raimbow. L’Arcobaleno, ragazzi, è femmina.
La seconda istallazione di cui vi parlo ha a che fare con un tema che mi è molto molto caro: la teoria delle stringhe, siamo nel campo della fisica quantistica, che in teoria se venisse provata unificherebbe tutto l’universo, la chiave di volta che Einstein stava cercando disperatamente. Secondo la teoria delle stringhe, che poi si è evoluta ed è diventata teoria delle membrane o teoria M, c’è un substrato di sotto materia che sta dentro alle stelle, elettroni, protoni, neutroni, bosoni, che è costituito da anelli super piccoli di energia vibrante che suona. Noi percepiamo solo 4 dimensioni di questo strano universo, ma ce ne sarebbero 11 di dimensioni in tutto dove può succedere e soprattutto dove il concetto di realtà e fenomeno verrebbe del tutto stravolto. Comunque, non posso andare avanti oltre, se un giorno verrà come spero a trovarci Paolo Bottarelli ce lo facciamo spiegare meglio. Io qui vi racconto solo come Alicja Kwade, ha rappresentato artisticamente la teoria delle stringhe.
La Kwade, che cognome simpatico che ha, ha creato una decina di pannelli di Plexiglass nero, tutti rigidi e curvi, come archi di cilindro per capirci, li ha disposti che sembra che se si parlino tra di loro. E infatti di fronte ad ogni arco ha piazzato un altoparlante che butta fuori suoni che dovrebbero replicare questa frequenza di fondo dell’universo. La super stringa unificatrice.
Altoparlante, arco, poi arco, poi arco, poi arco, poi arco ancora. Dialogo e rimbalzo del suono, questo è il senso dell’opera. L’opera è bella, ma di difficile comprensione, se uno non sa cosa è la teoria delle stringhe, forse troppo concettuale. Ad ogni modo in tutta la collezione ci sono tante altre opere di questa ragazza del 1979, tedesca di origini polacche. Sembra che Boros abbia voluto puntare su di lei, investire, sperando che nel frattempo spicchi il volo verso il firmamento delle stelle, come avvenne nel 2008 per Olafur Eliasson.
Della nostra Kwade io ho trovato di gran lunga più poetici altre bazzeccuole che si scovano nel corso della visita, oggetti, cose appoggiate per le scale, negli angoli più nascosti, più appartati. A parte il romaticismo di due lampade accese che si baciano con un vetro in mezzo (bello) mi sono piaciuti i dischi, le scope, i rastrelli, i rami di alberi, che appoggiati al muro, come fossero corpi umani, semplicemente diventano curvi, si piegavano…
Ci avete presente la persistenza della memoria di Dalì? Tale e quale.
Ora ci sentiamo la seconda canzone di Sohn, il mio musicista prediletto della settimana. Questa è Artifice.YES. Domenica, Heimathafen Berlino, sta lui. Io felice. Io vorrei andare. ❤
Torniamo ad Alicia Kwade, 1979. Bunker Boros. Una versione anni 2000 femmina di Dalì.
Oltre alle scope, agli specchi ai bancali, che si piegano come fossero di tessuto, come fossero amici appoggiati a un muro a bersi una birra, ha realizzato una serie di sculture di pietre preziose, e molto bello, ha piegato una bicicletta. Ora i suoi lavori in chiave molto fresca mi ricordano qualcuno altro oltre a Dalì… Pensateci un secondo: occhi a mandorla, guance paffute, ora al Martin Groupius Bau di Berlino, sono due mesi che vi faccio due maroni così su di lui qui nella crisalidedaria.
Sto parlando di Ai Weiwei, che tra l’altro c’è pure lui al Boros Bunker. Uno dei suoi Tree alberoni artificiali si è preso una stanzona tutta per sé.
A partire dal 2009 Ai Weiwei ha realizzato una serie di monumentali sculture in legno dal titolo „Tree“. Ai ha adattato parti di alberi morti (tronchi, ceppi, rami) di diversi tipi di legno, provenienti da varie regioni montane della Cina del Sud, in nuovi alberi artificiali, incastrando i pezzi cone fosse un puzzle tridimensionale, tenendoli insieme con chiodoni e bulloni grandi come il pugno di una mano. Questo esposto al Boros, fu acquistato dal magnate tedesco o dalla moglie un giorno prima che l’artista venisse arrestato, era il giugno del 2011, per frode fiscale. Albero a parte, volevo farvi notare quante analogie ci sono tra i lavori dell’artista cinese, età di mia madre, 1957 e la Alicia tedesca polacca, età mia 1979.
Vi ricordate i semini di porcellana finissima esposti alla Tate Modern nel 2003? Centomilioni di semi di girasoli, dipinti a mano, uno per uno. O la serie di vasi della dinastia Han che lui prima spacca (un milione di dollari vale un vaso di quelli) poi li tinteggia con la peggiore delle vernici industriali? Alicia quando ripropone un pezzo di ossidiana scolpito come un diamante mi pare citare questa ricerca della qualità di Ai Weiwei, che ha sempre la volgarità della produzione di massa. Cinese. Quando piega i bancali, sembra citare i tavoli segati in due di Ai. Quando la tedesca fa baciare le lampade, mi ricorda gli sgabelli che fanno l’amore con una gamba del cinese. E le biciclette? Il cinese realizzò l’istallazione megalattica delle 3.144 biciclette (senza ruote pedali e catene) incastrate per un’altezza di 9 metri, e lunga 30 (era Forever bicycles installation esposta lo scorso anno a Toronto, nel 2011 Taipei). Arriva la giovane tedesca, ne prende una sola e la arrotola, come fosse un foglio di carta.
Ci sentiamo Hey ya degli Outkast, che ne dite? Un po’ hip hop, va che le temperature si stanno abbassando, diavolomaiale.
Opera numero tre degna di nota. Lui si chiama Michael Sailstorfer, classe 1979. Allora, lui ha vinto diversi premi, era stato prescelto come giovane artista da tenere sott’occhio dalla martin Groupius Bau nel 2006. Non crea cose belle, almeno secondo la mia sensibilità, crea cose geniali. Legate a un concetto semplice semplice, attuale attuale: il consumo, il consumismo.
Ci sono quattro istallazioni nel Bunker di Sailstorfer. Tutte di forte impatto visivo: il primo è un albero capovolto, albero vero, ora secco, appeso dal tronco con i rami e le foglie secche che sfiorano il pavimento. Il tronco viene fatto ruotare dall’alto, mentre sul pavimento strusciano foglie e rami secchi. E’ dal 2012 che l’albero struscia e si consuma e crea sul pavimento una sorta di poverina magica, avanzo di natura morta. Consumo. Consumismo.
Stesso principio con una ruota di un automobile. Cosa ha fatto Michael. Ha preso una ruota motrice di un’auto, solo una, ha spezzato l’asse delle ruote motrici, tenendola attaccata al motore. Motore acceso, ruota in accelerazione costante, appoggiata a una parete. La gomma si usura contro il mura e crea una sorta di polverina di copertone nero. Mentre dall’altro lato della stanza si ergono neri nuvoloni (Volken si intitola l’istallazione) che dovrebbero rievocare il cielo berlinese. Che ha fatto Michael in questo caso? Per rimanere nell’automotive, ha preso le camere d’aria, belle grosse, due per volta, di gomme di auto o di camion, e le ha incastrate l’una nell’altra, come a formare dei riccioloni di camere d’aria, e li ha sospesi per aria.
E arriviamo all’ultima istallazione, che profuma pure. Oltre che al consumo, qui è chiaro anche il consumismo. Un consumismo per fortuna un po’ più leggero e divertente.
Premessa: quando si entra nel bunker si sente un vago odore di snacks, di cinema, di cucina. Più si avanza, si sale di livello, più questo strano odore aumenta. Nessuno vi dirà nulla, fin quando capirete tutto. Era odore di pop corn quello. Michael Sailstorfer ha trasformato un carretto (il carretto passava e quello uomo gridava gelatiiiii) in una macchina automatica per i pop corn. La macchina dal 2012 è sempre accesa giorno e notte, sette giorni su sette, ne produce uno massimo due al minuto. Ora la stanza dei pop corn che prima era vuota, sti sta progressivamente riempendo.
Ora chiudo con i Cure, In Between Days, avevo vglia di sentirli. Baci la crisalide d’aria lascia spazio all’acqua. E vi ricordo che all’ultimo piano del bunker, un soffitto di una stanza è stato decorato col carboncino. Ci hanno disegnato delle scene del Kamasutra. Ci sono riuscita a convincervi ad andare 😉 Bis Dienstag meine Liebe!