Il cancro della paura (www.lettera43.it)

Se ci fosse una Fukushima in Italia, gli italiani come i giapponesi oggi, dovrebbero convivere con un cancro, ancor prima di ammalarsi seriamente. Il cancro della paura. La paura di mangiare, di bere , di lavarsi, anche di respirare. Questo cancro non lo si aggira non mangiando broccoli e prezzemolo, come disposto dal governo giapponese all’indomani del disastro nucleare, non bevendo acqua corrente ed evitando di avvicinarsi alla centrale. Il cancro della paura è direttamente proporzionale all’impalpabilità e imprevedibilità degli isotopi, i quali non si diffondono affatto in maniera ordinata e centrifuga. Questi isotopi si spostano come pare a loro gabbando tecnici e politici. A volte sono rarefatti a pochi chilometri dall’impianto, altre volte si concentrano, come Lettera43.it ha potuto verificare direttamente, anche fuori dalla zona rossa, cioè oltre i 20 chilometri blindati attorno a Fukushima.
Nella centrale che sta tenendo il mondo con il fiato sospeso , la situazione è più grave di quanto si creda. Il 6 giugno l’università di Hokkaido, un ente indipendente sia dal governo sia dall società che gestisce la centrale ha pubblicato i risultati di un’esame compiuto il 22 aprile scorso. Il plutonio e l’uranio hanno raggiunto falde e acqua di mare e anche i terzo reattore si conferma gravemente compromesso.

Attenersi ai dictat del premier Naoto Kan non basta. Tutto fa paura. Non solo l’acqua, ma anche il te in bottiglia e la cocacola in lattina (imballaggi con membrane ridicole per un isotopo), non solo il pesce – l’unico di cui andar tranqulli in Giappone è l’amatissimo tonno bluefin che arriva da Altantico, Indiano e Mar Mediterraneo – ma anche carne, gelato, frutta. Fa paura farsi uno shampoo. Ci si vuole levare di dosso eventuali residui radioattivi, ma ci si rende conto che sia l’acqua corrente sia i detergenti potrebbero essere contaminati. Spaventa anche una bella fresca giornata di vento tardo primaverile. Chissà quell’aria da dove arriva.
Anche Salvatore Cuomo, uno dei maggiori imprenditori italogiapponesi, che nel Sol Levante ha costruito il suo impero grazie a una catena di ristoranti e pizzerie, ha paura. Ha detto che “oggi c’è da avere paura in tutto il Giappone” e che lui, che in Giappone c’è nato e si sente più giapponese che italiano, sta per mandare via i suoi figli da Tokyo, via dal Paese.
Tra le varie voci che girano, c’è ne una brutta. Il governo potrebbe utilizzare la zona contaminata di Fukushima in un deposito di scorie nucleari. E poi una seconda, terribile. Un’altra centrale, questa volta nei pressi di Osaka, avrebbe problemi ancor più gravi di quelli di Fukushima. Sembra che i danni siano stati causati da un errore umano prima ancora dello tsunami, e che il disastro conclamato al mondo, quello di Fukushima, stia nascondendo in realtà anche gli effetti del precedente. E si dice che il governo sappia tutto.

L’11 di giugno il Giappone si fermerà per fare il punto, riflettere, commemorare, a tre mesi dal terremoto più grave che la sua gente ricordi. E ironia della sorte, il 12 e il 13 gli italiani sono chiamati a dire la loro sull’energia nucleare: “sì, non la vogliamo” oppure “no ci abbiamo ripensato, mettiamoci a costruire centrali”. Scrivo con la paura addosso di aver visto con i miei occhi un geiger, il rilevatore di radiazioni, schizzare in un secondo da 6 a 110 microsievert, in una zona considerata sicura dall’autorità a 30 chilometri dalla centrale (a 250 microsievert i danni all’organismo umano diventano irreparabili se l’esposizione dura un giorno) e non credo che la maggior parte degli italiani siano in grado di sopportare tutto questo. Il cancro della paura un giapponese, un po’ per lo shintoismo, un po’ per il buddismo un po’ per la loro storia riesce anche a sopportarlo con la dignità, con la compostezza e con la rassegnazione che fa parte del loro essere. Noi no.

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