L’anno scorso è stata la volta di Dalì, l’anno prima di Hopper, prima ancora di Magritte. Lo scorso inverno la grande mostra a Palazzo Reale a Milano è stata dedicata alla Transavanguardia. Un altro miracolo della storia dell’arte italiana, che meriterebbe da solo un capitolo intero nel sussidiario alle elementari. Attraverso quella produzione si riesce a capire il senso profondo dello smarrimento mondiale e italiano degli anni ’70, che non ha nulla da invidiare a quello di oggi.
Come scrive Francesco Clemente, siamo figli di una generazione stalinista e genitori di una eroinomane. E vale anche per gli anni dieci degli anni 2000. Lo smarrimento dell’uomo è totale.
Tanto è bella la mostra che è stata prorogata fino al 22 aprile. Ma resta il fatto che un piovoso pomeriggio di metà aprile, a visitarla eravamo in due.

Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Nicola De Maria e Mimmo Paladino: negli anni Settanta questi artisti, denominati la “magnifica cinquina”, diedero vita a quella che il critico Achille Bonito Oliva definì Transavanguardia. Un movimento che si distaccava dall’Arte Povera e da quella Concettuale per riaffermare l’importanza di soggettività, emotività e incertezza. Il rifiuto era anche rivolto alle icone pop, la materialismo, al consumismo, alla globalizzazione. Il concetto di glocal se lo sono inventati loro.
E hanno ripreso in mano colori pennelli, tele, e impreziosendo il tutto qualche volta con molliche di pane, cartoni, vasi rotti, pezzi di legno, teste di animali d’argilla.
Si indaga l’Io, l’Es e il SuperIo. Soprattutto l’es.
Per qualcuno, tipo De Maria, il mondo onirico è dominato da colori, forme eleganti, fiori che guardano le lune.

Tutt’altro contesto il mondo di Francesco Clemente: cercando l’uomo disperatamente si scontra sempre con la sua ombra, il demonio.

L’opera di Chia è tutta un citare in chiave thriller, per usare parole di Oliva, le icone classiche – Giuseppe Garibaldi – facendo uso di colpi di pennello espressionisti futuristici e anche un po’ boteristici.

Mimmo Paladino va oltre e scimmiotta Picasso, quando con Terremoto narra la scossa dell’Irpinia del 1980, che sembra Guernica dopo il bombardamento del
Non c’è molta differenza tra un uomo e un cadavere. Il torace diventa cassa toracica e scompare la testa. In compenso qua e là, da fondo della tela, dal grumo di acrilico, affiorano volti alieni che ti scrutano di continuo. E sono sempre neri come la pece.

Con Cucchi per fortuna si torna e respirare. Le forme sono elementari, alberi cammelli, cani, bighe, i colori sabbiosi, della nuda tela. Ma i teschi non ci mollano. Stanno lì a ricordarci che lo stige – il fiume quello di caronte – è sempre in agguato.