Daje e daje,
alla fine,
a Charlie,
gli hanno sparato in bocca.
Je suis Charlie

condannata a vita
Ricordo perfettamente il giorno in cui ho conosciuto Carolyn Carlson dieci anni fa. Era una calda giornata di luglio a Perugia. Di quelle che per corso Vannucci non ci sta nessuno. Lei era arrivata da Parigi, io le sarò sembrata una stagista universitaria goffa in cerca della sua approvazione. La Dance Gallery mi aveva chiesto di scrivere di lei, lei era una dea già allora. E agli dei le interviste non si fanno. Avevamo visitato assieme la galleria nazionale dell’Umbria. E poi lei senza dire una parola, era scivolata via dal parrucchiere. Lasciandomi a bocca asciutta. D’altronde, l’ho imparato con gli anni: c’è poco da usare la voce – rispondere a domanda – quando hai un corpo come il suo, che parla di gesti.
Lo spettacolo che mise in scena al Morlacchi di Perugia si ispirava a Giotto. Quel genio lì, pupilla tanto amata di Alwin Nikolais (padre, se vogliamo della danza contemporanea) aveva scelto nel 2003 di trasformarsi nelle statute di Giotto. Lei stava immobile in piedi su un piedistallo al centro della scena, mentre un proiettore le sparava addosso voluttuose immagini di statue dipinte da Giotto. Le immagini cambiavano e lei era l’anima, l’essenza del movimento, l’essenza della vita.
Ma torniamo al presente. Carolyn, ti aspettiamo a Berlino. Tra qualche giorno lei sarà in turneé con uno spettacolo che è una dichiarazione d’amore a tutte le donne. In particolare a una: Francesca Woodman, la fotografa americana innamorata dell’Italia che morì suicidandosi a 22 anni lanciandosi dalla finestra di un palazzo.
La coreografia si intitola Inanna,nome della dea sumera che racchiude un po’ tutte le caratteristiche di Venere e Minerva insieme: il corpo e la mente, la guerra e l’amore, la madre e la seduzione. La vita e la morte.
Mi limiterò a far palrare le immagini. Lui si chiama Laurent Chehere, vive a Parigi, è giovane. E’ un surrealista, presumo che ami sia Salvator Dalì sia Hayao Miyazaki sia Rene Magritte. E’ giovane, esteta alla massima potenza, con idee buone. Forse un po’ modaiolo. Soprattutto quando ritrae neri su sfondo nero, la nebbia, i resti di una centrale nucleare in Romania, le luci a Neon di New York. Però devo ammettere che l’artifizio delle case volanti non è male.
Non troppe ore fa ho visto l’ultimo film di Martin Scorsese Hugo Cabret: bei colori bella la stazione di Montparnasse e ovviamente bellissima Parigi.
Se c’è lei tutto attorno il film viene bene comunque pure se, come nella fattispecie, la favola è un po’ noiosa. Un altro elemento a favore, Hugo Cabret, ce lo aveva.
Sono stata costretta a ricordare un uomo che ha fatto la storia del cinema che io avevo completamente dimenticato: monsieur Maries-Georges-Jean Méliès, o George Méliès e basta.
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